martedì 29 aprile 2008

I responsabili delle rivolte per il pane

Molti analisti internazionali e personalità di spicco, incluso l'ex premier Prodi, hanno da poco scoperto la crisi alimentare che sta generando rivolte in gran parte del Sud del mondo. Un fenomeno che si va ad aggiungere alle molto più dibattute crisi energetica e finanziaria. Ovviamente l'esercizio di individuazione delle cause della "crisi del pane e del riso" è stato fatto da molti, sottolineando la fantomatica ed imprevedibile complessità della globalizzazione che genera queste storture con i suoi cambiamenti veloci in diverse parti del pianeta: la domanda rapidamente crescente di India e Cina - inclusa quella per prodotti alimentari "superiori", come la carne, che richiedono più utilizzo di prodotti della terra, quali i cereali come mangimi per animali - l'aumento del prezzo del petrolio e dei prodotti derivati per l'agricoltura, tra cui i pesticidi chimici, e poi l'impatto dei cambiamenti climatici sulla resa delle produzioni agricole che si manifesta in maniera sempre più reale, soprattutto nei paesi più poveri dell'Africa sub-Sahariana e nel Sud dell'Asia.
Ma è la nuova "competizione" tra cibo e prodotti agricoli per fini energetici, ossia i biocombustibili, che ha generato più analisi e preoccupazioni. Che di "bufala" si trattasse, quella dei biocombustibili in alternativa a quelli fossili per arrestare il riscaldamento globale, è subito diventato chiaro, anche se Usa, Ue e Brasile hanno prima cercato di spingere nuove colture su larga scala a vantaggio delle solite compagnie energetiche "fossili" per poi avviare un'ipocrita discussione sul ripensamento da fare. Emblematico l'atteggiamento in tal senso della Commissione europea, sempre pronta a fare la prima della classe quando il danno è già fatto.
Ma mentre il legame tra crisi energetica e crisi del cibo è stato individuato, quello tra crisi finanziaria e guerra del pane non viene stranamente mai discusso.
La Banca mondiale da Washington ha concluso i suoi incontri di Primavera con il Presidente Zoellick - capo negoziatore Usa al commercio per anni ed esperto di sussidi agricoli perversi e liberalizzazioni a scapito della sovranità alimentare del sud del mondo - che, sacco di riso di aiuti alimentari in mano, ha chiesto più cibo per i poveri affamati. Ma non sarebbe politically correct per i burocrati di Washington ammettere che una parte importante dell'aumento dei prezzi è dovuto a fenomeni finanziari puramente speculativi, come nel caso del prezzo del greggio. Anche più del 20 per cento del prezzo.
Eppure dopo decenni il trend del prezzo delle materie prime e delle derrate alimentari si è invertito al rialzo, un fenomeno in teoria positivo per i paesi del Sud, forzati negli ultimi due decenni di aggiustamenti strutturali ad esportare pochi prodotti di base con prezzi sempre in discesa. Tuttavia la volatilità dei prezzi è sempre elevata e fa sì che gli speculatori facciano il bello e cattivo tempo, a partire da hedge funds e altri attori che giocano d'azzardo nel breve termine sul mercato dei derivati. Almeno l'Unctad, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di commercio e sviluppo, al suo vertice di Accra qualche giorno fa ha avuto il coraggio di ammettere chi sono i veri artefici e beneficiari di questa crisi alimentare. Nelle parole di Thomas Lines, dell'Agribusiness Accountability Iniatiative, "la crisi del credito ha spinto gli investitori a ritirare i propri fondi dal mercato azionario, da quello immobiliare e dai derivati finanziari ed a speculare invece sui future del grano e della farina, sul mercato del greggio e di altre commodity essenziali." Letteralmente arricchirsi sulla fame dei poveri in maniera impunita, senza che le Banche Centrali del Nord del pianeta dica nulla.
Si aggiunga che il tutto avviene dopo che forsennate liberalizzazioni commerciali imposte dai paesi ricchi hanno favorito le grandi concentrazioni della distribuzione - oggi 5 trader controllano circa la metà del mercato agricolo globale! - generando una dittatura di pochi che, tramite uno scarno 12 per cento della produzione mondiale che va sui mercati internazionali, impongono i prezzi del rimane 88 per cento che rimane sui mercati locali. Un gioco da ragazzi quindi per gli attori finanziari giocare nel breve termine sulle operazioni dei grandi trader o forse con la loro complicità.
Sembra surreale, ma in questo mondo post-fordista in piena crisi finanziaria ed incamminato verso la recessione nei paesi ricchi la questione agricola rimane centrale alla possibilità di accumulazione nel Nord del mondo, di controllo sociale nelle economie emergenti, e di sopravvivenza nei paesi più poveri. Solo con una sovranità alimentare ed il corollario del controllo diretto della terra da parte di chi la lavora - anch'essa sempre più oggetto di bolle speculative da parte dei private equity fund negli ultimi mesi - si sconfiggerà la fame e non si avranno più crisi alimentari. Ma sarebbe troppo per i "globalizzatori compassionevoli", oggi in crisi di legittimità, ammettere che le liberalizzazioni commerciali e dei capitali affamano proprio i più poveri.
* Antonio Tricarico - CRBM (Campagna per la riforma della banca mondiale)

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