martedì 29 aprile 2008

Analisi del voto - politiche 13-14 aprile 2008

Con il risultato elettorale del 13-14 aprile è terminata la lunga transizione che ha condotto l’Italia verso un sistema politico fondato sul bipolarismo.

Chi è fuori dai due grandi poli, facenti capo a PD e PDL, o comunque non stabilisse con questi rapporti strategici e programmatici, sarà tagliato dal sistema delle decisioni. Certamente avrà un ruolo residuale e marginale all’interno di qualunque assemblea elettiva. Rispetto a ciò, nei prossimi anni, difficilmente si tornerà indietro. Qualunque analisi sul voto o su ciò che siamo e saremo, non potrà prescindere da questa valutazione.

Il successo della lega ha praticamente affossato, per ora, l’idea Veltroniana di realizzare in Italia il bipartitismo, e questo, pur nello sfacelo, terrà aperta la porta alla pluralità della rappresentanza parlamentare. Paradossale che il nostro futuro ritorno in parlamento, sia stato garantito dalla Lega!

***
In questi giorni, autorevoli esponenti della Fu Sinistra Arcobaleno si sono affrettati ad addebitare la sconfitta al meccanismo contorto della Legge elettorale e al cannibalismo del PD, il quale sarebbe riuscito a far passare la teoria del voto utile diffondendo falsi sondaggi.

Sia la Legge elettorale, sia l’appello al voto utile, a mio modo di vedere, hanno influenzato e non poco il risultato elettorale, ma quest’analisi da sola è insufficiente per spiegare l’estromissione della sinistra dal parlamento, anzi tali cause le considero addirittura marginali.

I risultati elettorali di una forza politica non possono discendere solo ed esclusivamente dal momento della campagna elettorale. Se fosse vero questo, il PD avrebbe stravinto, posto che sul piano della comunicazione e del “marketing” elettorale, è stato travolgente.

Se circa il 75% del nostro elettorato storico, qualcosa come 2,5 milioni di elettori – in Sardegna 83 mila - ha deciso di non votarci o di votare altri partiti, significa che si è rotto un meccanismo. Moti dei cittadini che ora non ci hanno votato potrebbero votarci ancora in futuro, ma questo non avverrà più su basi identitarie. Dobbiamo riflettere su questo.

Sulla base di queste considerazioni, le reazioni di Ferrero e di Diliberto sono sbagliate, come sbagliate sono le risposte date dai partiti dell’arcobaleno, in essi si è avviata una violenta resa dei conti che addebita le ragioni della sconfitta sia ai propri leader, sia alla scelta di abbandonare i simboli storici del comunismo.


Nelle analisi sul voto stentano ad emergere valutazione più approfondite. Infatti, sarebbe più utile domandarsi per quale motivo gli elettori avrebbero dovuto credere ad un progetto come quello della Sinistra Arcobaleno, se nei fatti i loro attori costituenti erano i primi a non crederci? Il cambio di maggioranza in Rifondazione Comunista, l’appello all’unità dei comunisti lanciato da Rizzo e Diliberto e la richiesta d’asilo dei Verdi al PD, sono condotte la cui riflessione è avvenuta ben prima delle elezioni e tutte queste contraddizioni sono emerse in campagna elettorale.

Le cause della sconfitta più che su questioni sovrastrutturali (legge elettorale, simboli, voto utile), si dovrebbero cercare in quelle strutturali. La sinistra ha, soprattutto in questi anni, dato risposte semplici a questioni complesse. Ha perso la connessione con la realtà, abbandonando inesorabilmente il terreno della cultura materiale.

In questi anni, nonostante fossimo forza di governo, non si è riusciti a costruire politiche per migliorare i rapporti sociali, per intervenire sulla crisi salariale, per dare risposta alla crescente insicurezza delle città. Abbiamo piuttosto fatto l’opposizione, assumendo spesso posizioni antagoniste, ora chiamando la piazza, ora smentendo la piazza. E anche quando siamo stati propositivi, non siamo riusciti a comunicarlo in maniera unitaria ed efficace.

Che risposte abbiamo dato concretamente agli operai, ai disoccupati, agli artigiani. Guardiamo ad esempio il sistema agricolo italiano, sul quale si è abbattuta violenta la mannaia della globalizzazione; pensiamo ai problemi legati alla sovranità alimentare o all’uso della terra come bene comune; pensiamo a come il problema dell’energia abbia depauperato le famiglie e disintegrato il reddito degli italiani. Quali sono state le nostre risposte? E relativamente al rapporto tra migranti e popolazioni indigene, quali sono state le soluzioni adottate per favorire una convivenza equilibrata fra gli uni e gli altri?

E’ da queste analisi che si deve partire, pena l’impossibilità di comprendere la disfatta.

***************

Un discorso ancora più specifico merita la situazione di Sinistra Democratica. Essa, in un anno, si è mantenuta sul provvisorio, senza regole e senza rappresentanza democratica, con un gruppo dirigente autoreferenziale e costituito sulla base di logiche e decisioni il cui senso s’era perso con lo scioglimento dei DS. Qualunque decisione è stata sempre percepita come imposizione. Si è dato per scontato che i compagni e le compagne fossero soldatini allineati e coperti; accondiscendenti per appartenenza.

In questo anno, Sinistra Democratica, si è ripiegata su Rifondazione Comunista, rinunciando ad avere una propria proposta politica. Il movimento si è svuotato via via, lasciandosi dietro forze importanti e affievolendo passo dopo passo, il progetto del socialismo europeo.
Dopo il fallimento dell’Arcobaleno e la conseguente reazione di PRC e PDCI, siamo a rischio estinzione. E’ infatti iniziata la grande migrazione verso il PD. In quest’anno scorso i pezzi si perdevano ad uno ad uno, ora siamo sull’orlo della valanga. Valanga già in movimento! Sono decine i compagni che mi chiamano per comunicarmi di aver scelto altro!



Che fare? Così scriveva Lenin nel 1902, proprio per segnare la distanza fra la coscienza rivoluzionaria della massa e quella dei dirigenti del marxismo economicista legale e quello del marxismo illegale.

Ciò che dobbiamo fare, a parer mio, è quello di risintonizzare le nostre frequenze con la società reale. Dobbiamo rimpadronirci della capacità di fare analisi, di fare programmazione e pensare a strategie i cui effetti si misurino sul breve periodo, ma che contemporaneamente abbiano la robustezza per produrre effetti duraturi.

Compagne e compagni, serve una sinistra del fare. Dobbiamo far cadere le bende dell’ideologia, o continueremo a invocare un mondo ideale senza far nulla per renderlo tale. Basta con la politica dell’emergenza e dello straordinario. Basta con i piani straordinari per il lavoro. Basta con i piani di rinascita.

Sul piano della politica mediata, poi, è necessario uscire dalla logica delle fusioni fra sigle e simboli di partito.

In questo periodo si fa un gran parlare di elezioni regionali in Sardegna, prospettando esclusivamente soluzioni tattiche e mai proposte progettuali e programmatiche. Sembrerebbe che tutto possa concludersi con un accordo fra sinistra, socialisti e sardisti.

Sono convinto che si perseveri nell’errore. Soprattutto perché quando si parla di questi accordi, in realtà, si sta pensando alla mera contrattazione fra gestori di sigle. Spesso si disconosce persino il contenuto di quelle sigle, infatti non è la sigla che fa i socialisti o i sardisti, né il possesso di un simbolo o di un “logo”.

Basterebbe sapere che una parte (forse maggioritaria) del PSD’Az, sta contrattando un accordo elettorale con il centrodestra, che che ne avesse pensato Lussu. Basta questo a dimostrare quale sia la distanza fra la politica vera e quella dei suoi gestori.

Serve a poco dare vita a comitati elettorali la cui unica funzione sia quella di mantenere o far acquisire il potere a singole persone. Prima di pensare ad accordi o a tattiche in chiave elettorale, dovremmo chiarirci bene chi siamo, dove vogliamo andare e chi sia legittimato a guidare i processi attuali e futuri. Soprattutto, chi siano i nostri referenti, se la società o i gestori delle sigle.

Si deve avviare, tempestivamente, un processo di democrazia interna che parta dal Nazionale per giungere al Regionale e al Provinciale. Basta con i reggenti o con gli organismi cooptati, monocratici e autoreferenziali.

Il senso delle dimissioni del coordinamento della provincia di Cagliari è proprio qui. Cioè quello di far partire una fase di piena legittimazione dell’azione politica, a tutti i livelli.

Sul dove vogliamo andare, il ragionamento si fa ancora più serio.

Sono convinto sia necessario gettare le basi per la costruzione di un soggetto politico di sinistra veramente nuovo, che abbia una chiara vocazione maggioritaria.

Il percorso intrapreso da Rifondazione non mi convince per nulla, tanto meno quello della costituente comunista del PDCI.

La strada, a questo punto, non è quella di fare un congresso per richiuderci nel recinto del nostro simbolo. Dovremmo aprirci ad un altro ragionamento. Dobbiamo diventare i promotori di una costituente che abbia la capacità di far rinascere la sinistra in senso orizzontale. Bisognerebbe capire se i sardisti siano tutti d’accordo con la svolta a destra, o se i socialisti si sentano pienamente rappresentati dai gestori di quel simbolo. Se così non fosse, potrebbero diventare ottimi interlocutori per la costruzione di un programma per la Sardegna e per la sinistra sarda.

Sinistra democratica se veramente vuole avere la capacità d’incidere, deve aprirsi senza indugio, azzerando ogni rendita di posizione e favorendo la nascita DELLA SINISTRA DEMOCRATICA SARDA. Questo processo dovrà fondarsi sulla piena autonomia rispetto al nazionale, con il quale certamente si attiveranno, se possibile, futuri percorsi federativi.

Nessun commento: